mercoledì 9 febbraio 2011

Ceti medi riflessivi: biblioteche e bibliotecari. 26^ p. Dal libro inedito: Una Italia tascabile. Saggio sulla sagace piccolezza dei funzionari. 2001.


Certe volte, quando non riesco a dormire, penso: “Dio mio, tu ci hai dato foreste enormi, terre sconfinate, orizzonti a perdita d’occhio; noi che viviamo qui dovremmo essere dei giganti”.
  (A. Cechov, Il giardino dei ciliegi)

Le biblioteche conservano capolavori dello spirito umano, ma i sagrestani che vi lavorano dentro sono animulae inafferrabili come i lèmuri dell’antica Roma.
  (Bibliotecario anonimo)

In Biblioteca tutti si lamentano e criticano; ma non sono poi molti coloro che hanno ragione di criticare.
La confusione amministrativa è provocata prima di tutto dalla frantumazione dei centri di decisione, dispersi fra direttore, sindacati, burocrati e politici romani. Ne deriva che le decisioni sono prese in maniera tortuosa e non hanno (come dovrebbero) lo scopo unico di far funzionare bene la Biblioteca.
Ma è in corso da qualche anno un processo di ulteriore frammentazione, perché molte attività di biblioteca vengono svolte da personale di ditte esterne che lavorano in appalto. La giustificazione del governo e dei sindacati, che ciò renderebbe meno dispendiosa l’attività complessiva dell’istituto, è una spiegazione modernistica che ha un valore esclusivamente tecnico.
Se le disfunzioni della Biblioteca vengono affrontate solo con soluzioni tecniche, presto emergeranno disfunzioni ancora più gravi.
Prima di tutto, l’appalto equivale a una definitiva rinuncia a far funzionare l’istituto con il suo proprio personale. Inoltre, cosa che mi pare la conseguenza più seria, una grande biblioteca che funziona con impiegati di varie ditte esterne cessa di avere una propria storia e una propria identità. Ogni gruppo di impiegati esterni sarà legato solo al breve segmento di lavoro assegnatogli, non ci saranno più trasferimenti interni, scambi di personale da un ufficio all’altro, sarà sempre più difficile avere una idea generale della biblioteca, che non è una fabbrica di automobili o di frigoriferi e che già patisce molto per lo spontaneo frazionamento ad arcipelago della sua organica e naturale struttura.
Altre cause di inefficienza sono la personalità inadeguata dei direttori e la generale incompetenza dei funzionari (i sindacati hanno voluto promozioni di massa); e, infine, un personale raccogliticcio, che la direzione della Biblioteca non ha i mezzi amministrativi e giuridici per inquadrare energicamente e governare. O per dir meglio: essa avrebbe, per questo scopo, alcuni mezzi, ma deboli, usati sempre pochissimo e ormai completamente desueti. Se volesse usarli ai giorni nostri, sarebbe certamente bloccata sia dai sindacati che dai poteri romani.
Quando qualcuno mi rimprovera di essere troppo pessimista, rispondo che la realtà è peggiore e più nera di come io l’ho descritta e che per poterla raccontare ho dovuto rischiararla un poco.
La realtà “vera” è un groviglio irraccontabile e indecifrabile, come si può desumere, per esempio, dal modello di prosa che riporto qui sotto.
“Lavori a tutto campo nei magazzini generali: disagio quotidiano ed intensificazione operativa.
Premessa.
Per i lavori in atto nelle torri librarie non si è fatto ricorso a tutt’oggi a quelle involuzioni delle modalità operative che spesso trasformano di fatto la necessità in possibilità di attenersi ad ineludibili canoni operativi fino a concretizzare la chiusura dei servizi al pubblico, in contrasto quindi, con la piena e completa realizzazione delle finalità che l’amministrazione intende perseguire.
L’orizzonte modale è stato infatti assolutamente ancorato ad una struttura necessaria che fa fronte e cerca di coniugare esigenze primarie di produttività, evoluzione tecnologica e strutturale, ed efficienza [...]”
Ciascun elemento operante sul campo della Biblioteca porta il proprio contributo alla confusione e all'inefficienza generali. Ciascuno di essi ha, sì, qualche ragione di criticare gli altri elementi, ma tutti trovano poi una loro convenienza nel generale marasma organizzativo e nel rovesciamento dei valori: parecchi, soddisfazione e vantaggio; i rimanenti, almeno tranquillità e sicurezza.
Del resto basti riflettere su questo: se a scuola si studiasse seriamente, se i concorsi di assunzione fossero realmente selettivi, se l'organizzazione del lavoro fosse razionale e trasparente, e non gommosa, familista e ricettiva oltre ogni limite (come una spugna capace di assorbire anche calcinacci), tante persone che oggi occupano con sussiego posti di responsabilità sarebbero rimaste indietro a svolgere le modeste mansioni per le quali solo dimostrano attitudine.
Come potrebbero, dunque, queste persone, criticare con sincerità il disordine e le ondate di confusione che le hanno "democraticamente" portate in alto?
Parecchi anni dopo aver lasciato l’incarico di direttore, Emanuele Casamassima, uscendo dall'Istituto in un tardo pomeriggio d'autunno, incontrò un vecchio impiegato della sua epoca.
“Gioviale, mi dica un po’: ma che cosa è successo alla Biblioteca? ’’
“Che cosa è successo come, professore? ’’
“E’ come se non avesse più anima”.
Gioviale rimase dapprima meravigliato; poi, appena ebbe compreso il sentimento di Casamassima, rispose commosso:
“Ma professore, oggi non è come una volta: ormai nessuno lavora più con amore”.
Salvatore Gioviale, palermitano, in gioventù sottufficiale della Marina Militare, che aveva dovuto lasciare perché soffriva il mal di mare, era un uomo di straordinaria generosità e di grande coraggio fisico.
Una volta un operaio che lavorava nella cabina dei contatori generali in Biblioteca prese una scarica elettrica che lo gettò in terra svenuto e fece saltare la corrente in tutto l’istituto. Nessuno osava entrare nella cabina a vedere che cosa fosse successo. Solo Gioviale ebbe il coraggio di farlo. Trovò a tentoni il corpo dell’uomo e lo trascinò fuori tenendolo sollevato per le spalle.

             (continua al post successivo)

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