S'incavajèra mò qualunque vizzio...
vojo ride però, co tanto sguazzo
de cavajeri, ar giorno der giudizzio.
Quanno che Gesucristo, arzanno er
braccio, dirà: "Signori cavajer der cazzo,
ricacàte ste croci, e a l'infernaccio."
(G. G. Belli, Li cavajeri, son. 1227)
Nel 1997 cadde sulla Biblioteca una pioggia di cavalierati che per lo più andarono a decorare funzionari-intellettuali ancora giovani e in servizio.
Chi possiede un titolo scolastico superiore quasi sempre è smanioso di mettersi in mostra, sotto qualsiasi luce. Pur di sembrare un cavaliere, non teme di andare in giro, nel mondo irreale della pubblica amministrazione, a cavallo di un manico di scopa o, se manca anche la scopa, semplicemente sculacciandosi le natiche, come facevano i bambini fino a cinquant’anni fa, quando fingevano di spronare con un frustino immaginari cavalli in cavalcate di fantasia.
Di fronte a questa cavalleria piena di fiocchi ma poco eroica, come ristabilire i veri valori, se non contrapponendole la pazienza, la fatica e lo spirito di sacrificio, che sono le doti tradizionali dei fanti?
In Biblioteca lavorano ancora alcune persone semplici, laboriose e degne di affetto. Il loro tratto comune è una disponibilità piena di mitezza d’animo e, almeno nel lavoro, una serenità costante.
In un tempo lontano, fra il cavaliere, che reprimeva la malizia dei malvagi e salvava la giustizia (come raccomandava una scritta sulla facciata di una chiesa medievale), e il fante c'era la stessa enorme differenza che passa fra una rosa e una margherita.
La rosa risplende anche da sola e la sua profumata bellezza può quasi riempire un intero giardino. Di margherite, invece, ce ne vogliono migliaia per illuminare un prato.
Oggi accade piuttosto il contrario: i funzionari-cavalieri non solo non salvano più la giustizia, ma addirittura si scrivono da sé le proprie lodi, che il direttore-sovrano si limita a sottoscrivere.
(continua al post successivo)
Nessun commento:
Posta un commento