Chi dobbiamo servire - il popolo o lo Stato?
Non importa al poeta - lasciamoli aspettare!
... Passeggiare
sulla scia di se stessi, ammirando le divine
beltà della natura e sentire la propria anima
fondersi nell'ardore dell'ispirato disegno dell'uomo
- questa è la vera gioia, questi sono i diritti!
(Aleksandr Puskin, citato in ‘Lezioni di letteratura
russa’ di Vladimir Nabokov)
Non ho più niente da aggiungere sul mondo dei funzionari e degli impiegati. Vi regna una così grande confusione di valori e di misure, che esso assomiglia, piuttosto che al mondo reale, a una di quelle terre straordinarie e lontane visitate da Gulliver nei suoi viaggi.
Il funzionario-intellettuale è come quell’inventore dell’Accademia di Lagado che si scervellava da otto anni sul progetto di estrarre raggi solari dai cetrioli.
Osservando le facce dei funzionari-intellettuali e valutando la loro personalità, mi sono sempre stupito di trovarli, benché diversi l’uno dall’altro, tutti ugualmente artificiosi.
Il loro aspetto fisico, forse per la costante abitudine di recitare ed enfatizzare il proprio ruolo e se stessi, mi pare che finisca per assumere caratteristiche comuni: un tono debole e un’espressione approssimativa, che nella vita reale fanno di loro delle persone dai contorni indeterminati come fotografie sfocate.
Considero meraviglioso che la natura abbia saputo creare tante sfumature di grigio, tante gradazioni del nulla, tante variazioni di qualità tutte insapori e inodori, tante modulazioni di inettitudine, tante screziature di meschinità. Ciascuna, però, con una propria caratteristica, con una propria buffa o sgradevole deformazione.
Un tempo, se fosse stato possibile chiudersi in Biblioteca come ci si ritira in un convento, credo che con entusiasmo mi sarei fatto frate dell’ordine dei bibliotecari scalzi.
Oggi, invece, la Biblioteca non ha più per me quasi alcun interesse.
“Non mi posso trattenere dall’affermare, ha scritto profeticamente Schopenhauer, che per me ‘l’ottimismo’, quando non sia lo sproloquio di persone che nella loro angusta fronte non nascondono che parole, è un modo di pensare non solo assurdo, ma realmente ‘infame’, un amaro scherno per le sofferenze senza nome dell’umanità”.
Quando il marxismo sembrava ancora una teoria che autorizzava le più grandi speranze per l’umanità intera, il filosofo György Lukács citava questo passo di Schopenhauer contro Schopenhauer stesso. Oggi il filosofo pessimista si è presa una dolorosa rivincita e i suoi sparsi pensieri, che Lukács cita come prove a suo carico, polverizzano il ponderoso libro che li contiene.
Dopo che l'impegno a cambiare la società si è dissolto assieme all’illusione sulla bontà degli uomini, mi sono fermato in una posizione di resistenza.
Sono persuaso che il male finisce per prevalere, favorito dall'avidità, dalla paura, dalla vanità.
Sono, però, altrettanto convinto che una scintilla di senno e di coraggio rimanga sempre viva e accesa, perché dal dolore e dall'oppressione alla lunga non può non nascere un desiderio di verità e di giustizia, e questa persuasione mi fa pensare che resistere non sia inutile.
Apprezzo i valori dello spirito, ma non sopporto i discorsi spiritualistici che ignorano la concretezza delle cose.
Solo chi possiede un sentimento vivo della realtà può essere un uomo davvero spirituale e libero.
Mi sono anche persuaso che l'ambiente e l'educazione possono soltanto favorire o frenare lo sviluppo di qualità naturali, buone o cattive, già possedute.
Nessuna pedagogia riuscirà a trasformare un uomo meschino in una persona magnanima né uno sciocco in un uomo perspicace.
Perduto il famoso e retorico ottimismo della volontà, sono diventato più attento al piacere che può dare lo spettacolo della natura.
Solo di recente, in una calda serata di giugno, ho visto per la prima volta le alte terrazze della Biblioteca. A quell'ora, le spesse pareti blu della notte delimitavano l'edificio e lo isolavano come una stanza illuminata, dandole una intimità inconsueta, al centro dello spazio notturno.
Da un lato si vedevano in lontananza le masse scure delle montagne alleggerite appena da sparse luci di case; dall'altro lato, verso sud, cominciava subito l'abitato con il suo scintillio di luci infinite.
Il cielo, che fino a poco prima era solcato da svolazzi di rondini, aveva perduto il celeste metallizzato del giorno: le sue tante gradazioni di blu sembravano ora pennellate dense e corpose ed esso non appariva lontano e immateriale ma vicino e palpabile: l'aria dolce e profumata era la sua carezza.
(continua al post successivo)
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